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Marco Vannucci Politichiamo

Marco Vannucci Politichiamo

Toscano libero di mente


Nel cuore per sempre

Pubblicato da Marco Vannucci su 28 Settembre 2014, 23:01pm

C'è l'ho, c'è l'ho, manca... Chissà se la nostra amicizia, per noi santermetesi nati tra la guerra ed il sogno del 2000, iniziò con lo scambio di figurine che nel nostro accento pisano suona celò-celò, tutto attaccato, come vernacolo impone. Il contendere erano le immagini dei calciatori comprate all'edicola di Sidda, in seguito passata ad Anna, e se avanzava qualche lira la si spendeva per il ghiacciolo, marca Eldorado, un grande lusso per noi. Di negozio accanto ad Anna stava Salvo, l'ortolano di Sant'Ermete che insieme a Manetto concorreva per la vendita di patate e cipolle ma per me, che abitavo alle scuole, Salvo era il più vicino e la cresta sulla spesa la bruciavo in figurine da scambiare con gli amici. Era il tempo in cui Cassio portava la bombola del gas, in barba al congiurato Gaio Longino, Cesare era il meccanico per la via della fonte non certamente un imperatore. Le ricordo tutte, le botteghe di casa mia, da Lorena al Cini, da Sante a Bruno fino alle Ceine dove mamma comprava ago e filo, per i rammendi. Poi c'era il Rosati che solo noi, amici di Sergio, sapevamo si chiamasse Casagli ma Rosati era per tutti e come tale rimase. Quindi Beppe, il tabaccaio, dove tredicenni compravamo le sigarette sciolte con la scusa ch'erano per il babbo, per poi fumarle appena fuori con i primi colpi di tosse cattiva. I capelli lì tagliavamo da Mario, in uno scantinato delle Case popolari, nascondendo le riviste osè all'interno del Telegrafo, l'attuale giornale Il Tirreno. Un po' sbuffando, Danica, miscelava benzina e olio per 50 lire nel motorino, mentre la bicicletta la portavamo da Antonio. I soldi erano pochi e la miseria era diffusa tra le case di Sant'Ermete, però avevamo il futuro negli occhi e il cielo davanti color speranza. Saluta mamma era l'arrivederci di Danica che conosceva tutti, un po' come Don Dino il mai dimenticato prete dove ad uno ad uno, almeno una volta, abbiamo fatto da chierichetto. Eppoi il Circolo, il nostro circolo di tutti privo di barriere politiche in un'Italia dove, destra e sinistra, si sparava addosso. Al circolo ogni giorno si rinnovava l'eterna sfida tra don Camillo e Peppone, tra una briscola e un tressette per il caffè di Romano, barista dal nome strano per un ambiente comunista; eravamo tutti santermetesi, tanto bastava e se divisi lo eravamo per il calcio, io milanista in un covo d'interisti. Ognuno aveva un soprannome: lo Straniero per via della sua macchina targata chissà come, Agnello che tramandò il nome pure al fratello, mentre Becio ci guardava dall'alto e per tutti fu il primo dottore. Becio, Roberto, che quest'anno s'è incamminato verso la stazione di Frontiera ed io, con Enrico, al telefono imbrogliavo le parole per stringerlo al cuore. Mi suonano ancora dentro le voci degli amici miei, quella cupa, quella tenue, quella urlata e quella disperata come disperati lo fummo la notte che Massimo Grazzini decise di salire al cielo in quello schianto maledetto, sotto la passerella. Prendemmo la consapevolezza dell'addio pure quando Olema smise di chiamare il suo Carlo ancora ragazzino, per poi ritrovarci nell'ultima carezza a Massimo, il nostro Sillo, abbassando gli occhi di fronte al dolore. Poi fu la volta di Roberto, il Solini, e di altri che portavano il mio nome E ci abbracciammo ancora, ebbri di orgoglio, quando Massimo Mattolini esordì in serie A parando un rigore a Damiani e adesso, anche lui, sta lassù a parare le stelle. Mancano solo poche lune, a noi ragazzi del '56, per i sessant'anni; eppure ogni mattina un sussulto che si rinnova quando, al bar... un pò di latte, nel caffè? Si, Angiolino, dammi il latte che babbo pagherà a fine mese... Ancora oggi, ovunque io sia, per chi mi appella per nome mantengo un ruolo che la vita mi ha imposto; per i santermetesi, da sempre, sono e rimarrò solo Marchino. Così mi chiama la mia gente laddove nacqui, in quella frazione di case e di memoria che è Sant'Ermete, cuore grande di Pisa.

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